RomaCogitans

Un serbatoio di idee per chi ha a cuore le sorti di Roma

Addio Italia!

Posted by romacogitans su 27 febbraio 2009

A non vederci mai più!!!


Genti d’Italia,

vi scrivo questa mia sicuro che tra voi si nascondano ancora molte anime pure che con forti disagi sono riuscite ad accettare ed a convivere con la trista situazione italiana. Purtroppo non ho la vostra forza – o capacità di reprimere i miei ideali – ed allora ancora una volta mi piego alla spinta che mi farà mandare al diavolo ancora una volta questo Paese in cui sono nato, e che ripudierò per l’ennesima volta. Non so se ciò significherà recidere per sempre le mie radici, ma sicuramente preferisco andare a vivere in uno Stato dove i delinquenti locali possono continuare a fare quello che vogliono, tanto so che con la loro pochezza non distruggeranno il mio Paese, la mia città. Qui a Roma avrei voluto cambiare il mondo, riorganizzare questa decrepita Roma, rifondare la morale di questa Nazione, ma la consapevolezza dell’impossibilità di realizzare tale sogno mi frustra, ed allora tanto vale recarsi dove si è consapevoli di essere solo passivi spettatori.

Purtroppo sento che nella cultura italiana c’è uno strisciante putridume che abbraccia, e prima o poi soffoca, stritola, alimentato da quel tipico italico menefreghismo e lassismo che lo legittimano. Per sopravvivere (anche psicologicamente) si è forzati ad accettare o a convivere con regole che io ripudio dal più profondo: purtroppo non ho la forza per divincolarmene se non lasciando tutto alle mie spalle, anche a costo di immolare le mie potenzialità professionali all’altare dell’idealismo.

Che dire di tutte le chiacchiere dei giorni scorsi quando l’Italia sta ancora infognata nei suoi decennali problemi? Non so se ridere o piangere nel sentire i giovani che in un periodo di guerra, selvaggia americanizzazione del pianeta (che qualcuno impropriamente chiama globalizzazione, che è ben altra cosa) e fame del mondo parlano di Destra e Sinistra, di Rutelli e Nanni Moretti, dei rischi di illiberalità a cui va incontro quel baraccone che è la RAI, della sacralità del matrimonio rilanciata dal celibe vecchio sovrano dello Stato del Vaticano, della opportunità degli scioperi generali che invece da sempre non rivendicano altro che la intangibilità di un corporativo ed ingiusto status quo da suicidio sociale.

Tutti, indistintamente, in un modo o nell’altro siamo figli di una società senza futuro. Non per fare qualunquismo, ma sono costretto a ribadire che è la cultura pressappochista, opportunistica, bieca, meschina, ignobile, clientelare del “tiramo a campa’” che regola tutto. Una cultura con cui non riesco a scendere a patti, e purtroppo neanche a schivarla, ignorarla. So che non è fuggendo che riuscirò a riacquistare quella dignità che mi permetta di guardarmi allo specchio senza provare compassione, ma almeno non mi farò condizionare dall’amore non corrisposto per la mia città.

Mi riferisco a coloro che fanno parte in tutto e del tutto di questa cultura, schiavi di un eterno e disgustoso prendersi in giro, alimentato dai purulenti “volemose bbene” e “scurdammuce u passato”, fieri della sudicia mano che unge quella sporca: lascio continuare questi nel giocare a “guardia & ladri” con gli infantili discorsi su comunisti e fascisti, sulle ridicolaggini della dittatura.

Orbi provinciali dell’impero americano, vi lascio accapigliare sulle briciole che meritate: Rutelli e Berlusconi, il festival di S. Remo e gli scudetti della Juventus, Pippo Baudo come maestro di lingua italiana, Rai e Mediaset, Santoro e Fede, Vasco Rossi e Jovanotti, la FIAT e Cofferati.

Maledetto quel giorno che nacque questa fetida brodaglia che chiamiamo Italia, in quel medesimo momento in cui a Roma quei porci che si nascondevano dentro vesti di porpora – supremi bestemmiatori di Dio – vennero affiancati dai porci invasori accorsi dal sud e dal nord della penisola, pronti a sedersi ad una tavola imbandita da e per altri, e ad arraffare con sporche mani tutto quello che capitava loro a tiro.

Troppe orde di volgari vacche, luridi porci e raglianti asini – esperti solo nel non saper far nulla, nel rubare o nel vivere di elemosina, ma sempre pronti a gonfiare il petto di superbia e d’assurde pretese! – si sono seduti alla regale tavola, e si sono sentiti in diritto di spadroneggiare da imperatori: si sono ingrassati a questa tavola, senza neanche la decenza di dire grazie. Altre orde d’ignobili parassiti continuano ad invadere la mia meravigliosa Roma, ed invece di prostrarsi a venerare la culla della cultura occidentale e ringraziarla per essere stati accolti non come pulciosi profughi ma come figli, le sputano addosso e ne violentano la dignità ergendosi – da luridi energumeni strappati ai nobili lavori della terra – a padroni di un mondo di malaffare, che qualcuno chiama politica, qualcun altro cultura. Ed a loro si sono sommati i voltagabbana, che hanno ripudiato le loro origini per sedersi con questi usurpatori.

Ladri che si nascondono dietro antichi simboli, ladri che fingono di scontrarsi tra loro brandendo croci e falce e martello: arnesi serviti per scavare fasulle trincee, che hanno arato sterminati campi di menti inette. Hanno sparso i semi della discordia e visto germogliare la più variegata flora: quercia, biancofiore, garofano, margherita, rosa, ma dietro cui si nascondono unicamente corporative pretese per soddisfare inconfessabili e personali desideri.

In questa Italia si è vincolati ad un tipo di approccio culturale sui generis che funziona da lubrificante interpersonale e sociale, che è poi lo stesso che ha nel nepotismo e nelle raccomandazioni la sua peggiore degenerata aberrazione. Oppure, in maniera volgare ed estremamente provinciale, pateticamente si scimmiotta l’imprenditoria statunitense, balbettando continuamente e inusitatamente parole in inglese pronunciate in maniera indecifrabile. A questi avrei voluto oppormi, come fiero portatore della mia millenaria cultura.

Possiamo dire di avere in Italia il capitalismo? Suvvìa, viviamo in un sistema dove i sonanti successi imprenditoriali sono goduti dai proprietari, mentre i costosi fallimenti vengono ripartiti sul contribuente che paga le varie reti di ammortizzatori statali, dalle rottamazioni alla cassa integrazione. Che vergogna.

Da bravo idealista preferisco credere nella meritocrazia: per questo sarò costretto per l’ennesima volta ad emigrare. Piuttosto che insozzarmi in tali disgustose feci e cibarmi del cibo smozzicato da altri, preferirei ripudiare una cittadinanza che mai ho voluto, che mi è piombata addosso per sfortunati eventi storici. Ancora una volta dovrò lasciare la mia madrepatria Roma in mano alle scorribande degli odierni barbari, i bifolchi che si sono spartiti poltrone e potere.

Il Bel Paese non è altro che un rancido formaggino spalmato e divorato da voraci approfittatori. Ed io non voglio sedermi al loro tavolo. Lascio la mia Roma a uomini senza spina dorsale che si lamentano d’ogni cosa, ma che sono sempre pronti a chinare la testa. Proni schiavi d’Italia.

Che Dio vi punisca. Che Dio mi assolva per la mia codardia.

E soprattutto: aridatece Giulio Cesare!

(scritta nel 2002, ma ancora attuale)

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I remi in barca

Posted by romacogitans su 1 settembre 2008

Da più di un anno ci stavo pensando, e questo articolo conclusivo l’ho cominciato a scrivere ad inizio 2008. L’articolo dedicato al Presidente Sensi mi sembra la maniera migliore per concludere questa esperienza, anche se qui non mi sono quasi mai occupato di calcio.

Con RomaCogitans sono anche andato un po’ fuori tema rispetto alle motivazioni per cui l’avevo fatto nascere: doveva essere un serbatoio di idee, una sorta di magazzino cui ogni persona di buona volontà e dalla mente creativa potesse accedere per “stoccarvi” intuizioni, esperienze, idee, proposte… Era rivolto a quei romani che ancora pensano con la propria testa, riflettono e non se ne vergognano, nella speranza di costruire assieme qualcosa.

Il mio era un invito a contribuire allo sviluppo di RomaCogitans, magari inserendovi idee, e soprattutto facendolo crescere, attraverso un dinamico scambio di considerazioni, commenti, riflessioni, in un continuo interagire di menti libere e pensanti che nelle mie speranze avrebbero dovuto portare allo sviluppo ed al miglioramento (del blog e della nostra città), cosa propria della filosofia OpenSource e dei Creative Commons. Insomma, Romacogitans doveva diventare un giornale dove i lettori erano anche redattori, un progetto che dovesse prescindere dal suo ideatore. I miei lettori hanno decisamente contribuito allo sviluppo del blog – e ringrazio loro per aver permesso a questo blog di sopravvivere – ma purtroppo l’obiettivo originario si è subito perso.

Per mantenere in vita il blog – che altrimenti avrebbe chiuso dopo una settimana o si sarebbe dovuto trasformare in un insignificante giornalino di quartiere – mi sono visto costretto a riciclarlo come palestra cui dedicare le mie riflessioni (ribadisco, non informazioni ma riflessioni). Però oramai l’uso che ne faccio mi manda in depressione, perché ho sempre l’impressione di muovermi in una tetra giungla col fango (ma forse non è fango…) fino alle ginocchia ed una torcetta elettrica dalla pila quasi scarica…

Il successivo tentativo della Rete dei Blog Romani si è rivelato un fiasco. Magra consolazione è che l’unica cosa che lì funziona (e che unisce i vari blog) è una intuizione di RomaCogitans, il googlereader per il giornalino virtuale su Roma. Il gruppo, il progetto avrebbe potenzialità enormi, ma con troppi galli a cantare non si fa mai giorno, figurarsi quando poi ognuno canta solo ed unicamente il suo personale ritornello…

Inoltre oramai nei confronti di molti Blog romani purtroppo è rimasto solo un certo affetto per il comune sforzo che si fa nel parlare della nostra città, mentre la stima – e non solo per la profonda differenza nell’approccio e nelle finalità – in più di un caso ha subito una forte flessione. Qualcuno mi ha accusato di non fare informazione (è vero, e mai ho asserito il contrario: io cerco di far riflettere, non di informare!) o anche di non essere quella fucina di idee che qualcuno si aspetta (ma non ho mai detto di essere io a dover sfornare idee, perché mi proponevo solo di raccoglierle!), malgrado in poco più di un anno e mezzo abbia dimostrato una produttività comparabile a quella del Parlamento italiano… so che non ci vuole molto, ma di certo non mi si può rinfacciare di essere arido.

In ogni modo siamo quasi ai titoli di coda per questo blog, e voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito, aiutato, spronato, apprezzato ed anche costruttivamente criticato. In maniera particolare il mio ringraziamento va a Albert1, Leo, Andrea Rossi, e RondoneR… e scusate se dimentico qualcuno.

In cuor mio avevo deciso di “mollare” il Blog RomaCogitans parecchi mesi fa, ma poi Cicciobello decise di riprendersi Roma per tornare a gozzovigliarvi alle nostre spalle: da romano amante della sua città non potevo accettare un tale affronto, e mi sono buttato anima e corpo nel contrastare tale attacco alla dignità di Roma. E’ vero che la campagna contro Rutelli mi ha dato enormi soddisfazioni, ma forse con l’avvento di Alemanno una consistente parte del mio compito si è esaurita. Non perché Alemanno sia un Salvatore, ma perché finalmente si è chiusa un’era che tanto male ha fatto a questa città. E soprattutto non è tornato Rutelli!

Non so se si tratterà di una definitiva chiusura di questo blog, ma comunque un sostanziale disimpegno (già palese negli ultimi mesi), soffocato dagli impegni “seri”, da un progetto in lingua inglese che ho fatto partire ma che non so quanto mi ci dedicherò, dall’inerzia e dalla consapevolezza che c’è ben poco da fare in questa città. E come diceva il buon Dante (che detestava i romani), mi pare che per chi entra a Roma l’unica scritta d’accoglienza coerente possa essere “lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”.

Insomma, nel novembre 2006 sono salito su una speranzosa barchetta costruita dal nulla con le mie mani. Ho issato la vela, ma a parte alcune folate non ho mai avuto un vento sostanzioso a sospingermi. Mi sono messo a remare, ma dopo tanto faticare e poco avanzare ho tirato un remo in barca, cominciando a girare su me stesso… meglio tirarli su tutti e due ‘sti remi, che ne dite?

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Addio Presidente Sensi

Posted by romacogitans su 18 agosto 2008

Il presidente della Roma Franco Sensi si è spento alle 23.35 al Policlinico Gemelli. Aveva 82 anni, i funerali si terranno mercoledì nella basilica di San Lorenzo al Verano. Domani camera ardente in Campidoglio.

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TU SEI NATO GRANDE E GRANDE HAI DA RESTA’

TONINO CAGNUCCI

Ha mantenuto la sua ultima parola: «Finché vivo la Roma non la lascio». Tutto il resto è bla bla bla. Gliel’ha chiesta il mondo; sia i russi sia gli americani, però, hanno trovato un muro che la storia è riuscita ad abbattere, ma che il sentimento di un uomo ha tenuto alto. «Finché vivo la Roma non la lascio». Erano domande che non potevano avere risposta: la Roma chi è romanista non la vende mai, e mai mai mai se è stato tuo padre a fondarla, se l’hai vista nascere in culla. Piccolo e grande amore. Aveva un anno Franco Sensi quando la Roma è nata. Hanno fatto tutto il percorso insieme. Si sono accompagnati come fanno le parole in una lettera: in quella che scrisse per il compleanno della società un anno fa disse: «Gli 80 anni della Roma sono i miei 80 anni». Ecco perché oggi che è morto, Franco Sensi non muore: la Roma mica finisce, passano solo i giorni. E se c’è un modo per accompagnare un amore fino al termine della vita, il suo è stato il migliore: starle sempre accanto.
Una volta (non era neanche un anno alla presidenza) Sensi, ultimo grande custode di una tradizione orale romanista che si sta spegnendo in urlaccia tele-radiofoniche, disse: «Mio padre oggi avrebbe più di cent’anni: non si è mai stancato di raccontare la Roma, e a me sembra di averli vissuti e rivissuti più volte, quei giorni e quei fatti». Quasi per presentarsi parlò così “di giorni e fatti”, di epoche, di pezzi d’epoche, e pezzi di racconti. Cioè di miti. Ma all’origine non ci sono superuomini, oracoli, dei o mostri, piuttosto nomi e cognomi conosciuti, erba di casa sua, i calzoncini corti che il papà indossava nella Pro Roma, il legno del comodino accanto al letto che era lo stesso di campo Testaccio (perché fu Re Silvio ad ordinarne i materiali per la costruzione). E’ quando l’album delle figurine Panini è quello di famiglia, il sogno un’abitudine di condominio; la Roma, allora, che hai respirato e imparato, già solo per questo ti diventa tutto: oltre che padre, e mamma com’è per tutti, passione e lavoro, ambizione e cura, casa e stadio, ricordo e futuro, grande palcoscenico e insieme il tuo posto delle fragole. Ecco perché ha sempre detto: «Finché vivo la Roma non la lascio». Ecco perché non l’ha lasciata ancora, neanche oggi: oggi è mai. Gliel’ha chiesta il mondo, i russi e gli americani, con gli aerei che hanno veramente volato tra New York e Mosca, ma lui aveva già scelto la Matematica (ci si è laureato) come mestiere: l’equazione era sempre la stessa. «La Roma è mia». E basta. Gliela chiedevano, ma erano domande che non potevano avere una risposta perché questa storia è nata da una domanda che non le aspettava: quel pomeriggio in cui lui, come Re Lear, riunì le donne della sua famiglia per chiedere consiglio sull’opportunità di comprarla, la Roma.
Apparentemente affari, profondamente, cuore. “Nothing”, sir. L’aveva già presa, era già sua. E’ stata sempre sua. Anche troppo. Per la Roma ci è anche morto. Questa è la storia un amore pertinace, così tanto, così vero, che per lo stesso motivo Franco Sensi, nei suoi primi anni di guida, è stato anche il presidente più contestato della storia romanista. Bla bla bla. Pareva troppo stretto l’abbraccio tra presidente e società, addirittura solipsistico, pareva facesse rima soltanto con proprietà: “La Roma è mia”. Era un’equazione senza risultati e basta. Vinceva la Lazio, vinceva l’antistoria, l’antimateria: come se bruciasse il legno di Testaccio.

Ma Sensi costruiva in un mondo che soltanto si spettacolarizzava, metteva da parte quando di moda andava chi sperperava: erano favole semplici che nessuno più raccontava, la formica e la cicala. Derby. Come un vecchio ritornello che nessuno canta più. Il derby per Sensi è stato il suo grande cimento da presidente perché dall’altra parte c’era Sergio Cragnotti che aveva costruito la Lazio più forte di sempre. Cragnotti è stato “nemico” di Sensi quanto e come la Lazio della Roma: quasi arrivati contemporaneamente alla presidenza, hanno costruito le proprie squadre con due filosofie non solo diverse, ma antitetiche. Rampante, manageriale, spumeggiante, iperspettacolare quella del laziale; artigianale, saggia, familiare, antica, romanesca, quella del romanista. Alla fine è rimasto solo Sensi. Alla fine il presidente ha avuto ragione su tutto. Era stato bla bla bla perché aveva cacciato il mercante dal tempio, Luciano Moggi, che prese a male parole, lo mandò candidamente e testualmente affanculo, e pareva lesa maestà, e pareva il suicidio strategico, quasi un’irresponsabilità politica. Forse anche peggio quando parlò degli arbitri e di Carraro come di «un’associazione a delinquere». Venne punito, multato, deferito e irriverito per questo: oggi gli si fanno gli editoriali di “bravo-bravissimo” soprattutto per questo, mentre trequarti degli arbitri e del Palazzinaccio loro hanno smesso perché erano corrotti, perché le partite non erano vere veramente, e la Juve le rubava, e pure il Milan faceva qualcosa che non doveva fare, mentre la Lazio si dileguava.
Era il calcio che schifo fa. Ci poteva giurare Franco Sensi e l’ha fatto: «Finché vivo la Roma non la lascio». Il presidente bla bla bla ha mantenuto anche l’ultima parola. Come un vecchio ritornello che nessuno canta più, col colbacco a gennaio sotto la Curva Sud, l’urlo ragazzino al 3-3 di Totti, e il carabiniere che sorrideva vicino e Guido Paglia triste là sotto. E poi: «Chi ha segnato il ragazzino?». Sì. Come c’era un ragazzino quella notte di primavera sotto le scalette di un aereo che tornava a Fiumicino da Milano con una coppa, con gli aerei che continuano a volare tra New York e Mosca, aspettando un’altra notte, un’altra coppa. E adesso magari su, con Agostino. Qualcosa sarà più chiaro. Franco Sensi ha visto milioni di bandiere sventolargli davanti. Ha fatto la gente felice quel giorno al Circo Massimo, ma, soprattutto, ha avuto modo di guardare tutta quella felicità. Un giorno racconteranno di persone arrampicate sugli alberi per una grande festa romanista, raccontando scopriranno che quelle persone erano veramente a milioni, che sono state per strada giorni, che c’erano uomini e donne fin sopra al Palatino, lì, sul colle dov’è nata Roma. Racconteranno. Qualche stupido non ci crederà e, come quasi tutti oggi, dirà: show must go on. Ma no, stavolta lo spettacolo non proseguisce.

da Il Romanista

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Proposta per linea autobus Stazione FS Ciampino – Stazione Metro Laurentina

Posted by romacogitans su 15 agosto 2008

Proposta per una nuova linea di autobus che dalla stazione del treno FS Ciampino colleghi con la stazione della Metro Laurentina, passando per l’Aeroporto Pastine, la stazione FS di Torricola, lo European Brain Research Institute (EBRI), il nuovo Ministero della Difesa presso la Città Militare e gli uffici SOGEI e l’attiguo Ministero delle Finanze… mentre la Motorizzazione è dall’altra parte della Laurentina.

La linea passerebbe per un alto numero di luoghi che hanno funzione rilevante a livello sovralocale, avrebbe poche fermate ma passaggi frequenti, perché studiata per i lavoratori dei Castelli (che prendono le FR4 e FR6) che lavorano nei nuovi ministeri all’Eur e per quelli del sud pontino che arrivano con le FR7 e FR8, che potrebbero scendere a Torricola per dirigersi o verso l’Eur oppure a Ciampino.

Si ipotizza quindi un servizio che funga da raccordo intermodale per:

1) i flussi di pendolari provenienti dai Castelli Romani (raccolti al capolinea di Ciampino) e da Nettuno e Latina (prelevati a Torricola) e diretti all’Eur,

2) oppure per chi arriva a Metro Laurentina a deve dirigersi agli uffici nella zona di via Laurentina (Motorizzazione, SOGEI, Ministero delle Finanze) e via della Cecchignola (Ministero della Difesa, EBRI),

3) o infine per coloro che dalla zona dell’Eur devono andare a Ciampino (Aeroporto o città) per poi magari prendere il treno per andare all’ESA, che è alla fermata del treno Tor Vergata sulla FR6.

Per un servizio del genere ci vorrebbe un tram ad alta capacità ed elevata frequenza, ma con il Parco dell’Appia Antica di mezzo e le modeste risorse in ballo basterebbe accontentarsi di un bell’autobus, che offra però un servizio costante ed efficace.

Non so quanto sia vincolante il confine amministrativo che divide i comuni di Roma e Ciampino, ma non penso che sia scoglio non superabile con una buona governance infracomunale, a maggior ragione ora che sempre di più si parla di città metropolitana. Calcolate che a Gorizia c’è un autobus cittadino che fa spola tra la città italiana e la confinante Nova Goriça, in Slovenia… se ci sono riusciti lì, non vedo perché non ci si possa riuscire qui…

Se il tiranno dio della burocrazia dovesse farla franca anche stavolta, allora si deviasse il capolinea alla Stazione di Capannelle, ma che si facessero fermare anche lì i treni provenienti dai Castelli!

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Il padre di tutti i progetti… mancati

Posted by romacogitans su 13 agosto 2008

Molti conosceranno questo disegno ed il dedalo di linee metropolitane che nei progetti pensati nel lontano 1986 dai tecnici di Intermetro SpA (pubblicato su “Roma Capitale. Lineamenti di un progetto di rete metropolitana) avrebbero dovuto percorrere Roma, in chi sa che remoto futuro

La cosa che impressiona di più non è la superficialità con cui si immaginava di trasformare Roma in una città europea, quanto che col passare degli anni le varie giunte hanno lentamente smantellato pezzo per pezzo quelle previsioni e tali progettazioni, cosicché i progetti più recenti vedono al massimo 4 linee metropolitane, quasi nessun nuovo tram ed al massimo i quasi inutili filobus (perché non un normale autobus, magari a metano?) a sostituirsi bellamente alle metropolitane un tempo previste.

Nel mondo si parla sempre di progresso…per Roma non sarebbe meglio parlare di regresso?

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Quark sia con te

Posted by romacogitans su 4 luglio 2008

Dal 1977 la sua voce è entrata nella mia vita, divenendone in parte narratrice, in parte compagna del mio esistere. Claudio Capone dava spessore e senso in italiano ai dialoghi di Luke Skywalker, il personaggio della prima trilogia di Guerre Stellari. Ben presto la sua voce è entrata a far parte della mia famiglia come quella di un maestro, di un tutore, perché dal 1981 (dalla TV) cominciò a passare con me tutti i pomeriggi, spiegandomi le meraviglie dell’universo, le crudeltà della natura, i segreti della storia. Né scienziato, forse neanche giornalista, ma strumento sopraffino che rendeva chiara ed ancora più affascinante la scoperta – per un giovanissimo come me allora – di quei segreti che da secoli la curiosità umana e la scienza tentano di svelare. La sua voce era come un vero strumento musicale, affinata e perfettamente accordata su un italiano che ben pochi parlano. Presto, quindi, affiancai l’apprendimento delle nozioni che venivano dalla voce di Capone tradotte in parole e profuse nei documentari di Quark all’introiettare le corrette sonorità di quella meravigliosa lingua che era l’italiano, tanto sciatta e dozzinale sulla bocca di giornalisti, personaggi TV e anche gente di strada, ma altrettanto sublime quando modulata da un fine dicitore come Claudio Capone.

Scopro solo in questi giorni, che ne è stata annunciata la prematura scomparsa (a 56 anni), che faccia avesse quell’uomo che mi permetto di considerare un maestro. Ma il suo volto non ha molta importanza per me, perché so bene che è il suo spirito che rimarrà sempre nei meandri del mio cervello, eco dei sussurri alle orecchie di quello che – ragazzino – rimaneva estasiato nello scoprire il mondo accompagnato da un così dotto e cristallino linguaggio. Una tristezza infinita mi assale, forse anche per effetto di quel profondo egocentrismo che pervade ogni uomo: con la sua morte se ne va parte della mia vita. Ma allo stesso tempo saluto Claudio Capone con il sorriso sule labbra, perché sono felice che il suo lavoro di eccellente professionista abbia contribuito notevolmente alla mia formazione culturale ed alla mia passione per la dizione e la linguistica, come anche al rispetto per una lingua come l’Italiano, continuamente vituperata ed abusata dai più. Ma Claudio Capone rimarrà un esempio, ed il suo lavoro è immortale, non solo perché la sua voce è registrata (anche per le prossime puntate di Quark) e quindi indelebile, ma soprattutto perché il suo insegnamento è dentro di me, parte di me, e quello scomparirà assieme a me e non prima di me… vivrà ancora, quindi, quel tanto che basta per renderlo eterno alle mie orecchie mortali.

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ZTL o Ecopass? Meglio la via inglese… e basta ai privilegi

Posted by romacogitans su 4 luglio 2008

La bagarre sulla franchigia di accesso motorizzato al centro di Roma a mio giudizio nasconde una situazione molto più complessa di quello che si crede o soprattutto che vuole farci credere qualcuno che vede minacciati i propri privilegi: da una parte c’è la pretesa dei residenti di avvalersi anche di questa “immunità” come fosse cosa naturalmente acquisita (e non lo è); dall’altra c’è la rivendicazione di chi – magari costretto a non vivere in centro perché allontanato da fenomeni di gentrificazione che hanno portato ad insediarvisi i fighettini radical chic e figli di papà – non vuole che tale decisione si trasformi in una ulteriore discriminazione.

C’è chi addirittura tra questi indebiti privilegiati che non solo ribadisce il proprio diritto di avere il centro di Roma solo per sé e la propria auto, ma va alla ricerca di strategie per consolidare tale disparità sociale avanzando la scellerata idea di far pagare l’Ecopass per accedere all’area del cosiddetto “anello ferroviario”. Davanti tanta sciatta tracotanza mi domando con ironia: chi abita in centro e già gode del diritto (infondato a mio vedere) di circolare e parcheggiare all’interno della ZTL, se decide di uscire dalla ZTL ed attraversa la zona dell’anello ferroviario, lo paga l’Ecopass? Se la risposta è sì, plaudo alla serietà di chi – pur vivendo in centro – si prende le sue responsabilità e non accampa solo ipocriti privilegi, altrimenti l’idea va bruciata immediatamente, perché doppiamente iniqua, in quanto crea indebiti privilegi anche per la nuova fascia di circolazione.

Ricordo che avere una casa in centro di per sé non dà alcun diritto ad occupare del suolo pubblico con le proprie lamiere semoventi, e la ZTL risulta provvedimento ancora meno equo se teniamo conto del fatto che i locali residenti per lunghissimi anni hanno pagato ICI ridicole – perché al catasto molti immobili del centro, anche lussuosi, risultano come case popolari – per appartamenti ben più costosi di quelli in periferia, dove hanno ricacciato i poveracci.

La ZTL è senza dubbio una mezza porcata, ma il sistema di Milano è anche peggio. Ben altra è invece la strategia dell’oramai ex sindaco di Londra Livingstone (cui Milano si ispira, ma distorcendone le forme) che per entrare in centro faceva pagare cifre spaventose, sui 40 euro al giorno. Certo, si può dire che è strategia che crea discriminazione, perché solo i ricchi possono entrare in centro, ma sicuramente non più discriminazione di quanta ne legittimi la ZTL, dove i già privilegiati cittadini del centro, che hanno la città più bella del mondo a portata di mano, godono anche di questo ulteriore ed immeritato vantaggio. La differenza tra le due strategie in effetti risiede nel fatto che Livinstone aveva adottato una politica perequativa, prelevando con la gabella ai ricchi che volevano entrare in centro ed investendo quelle risorse per tutti, mentre i radical chic delle ultime giunte (Cicciobello e Festadelcinema) hanno solo protetto i ricchi residenti, legittimandone dei diritti ingiustamente acquisiti.

Personalmente innanzitutto pedonalizzerei buona parte delle strade del primo municipio e trasformerei il resto dello stesso in zona a 30 km/h. Poi farei pagare l’accesso a tutti: abbonamenti agevolati solo per un’auto ad appartamento per i residenti a seconda del tipo di auto [come descrivo in fondo a questo articolo] a partire da circa €300 euro ad auto l’anno, almeno 2000 euro l’anno per le altre e per chi non è residente, oppure un pedaggio giornaliero di 10 euro per auto Euro 4, 20 euro per le euro 3 e così via, ricordando a tutti che il centro di Roma non è dei residenti, ma è patrimonio mondiale. E se vi si vuole entrare bisogna contribuire – pagando – al suo mantenimento. A cominciare dalle società che affittano auto. Facciamo pagare tutti quindi, e con quei soldi mettiamo un trasporto pubblico che sia degno di quel nome. Altro che ulteriori privilegi…

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La competizione globale e le potenzialità dell’Italia (4): cosa si dovrà fare

Posted by romacogitans su 3 luglio 2008

…[segue da]

Cosa si dovrà fare

Molto si è fatto sinora a livello politico per venire incontro alle esigenze dell’Italia che produce ricchezza, come ad esempio l’approvazione della legge Biagi, ma molto ancora si può fare per rendere competitive le nostre aziende offrendo loro più flessibilità che altrimenti nel contesto dell’economia globale rischierebbero di soccombere alla concorrenza di Paesi più dinamici. Da una parte va riproposto un nuovo patto sociale ispirato al fordismo: diamo uno stipendio decente alle persone che sia composto da circa €700 al mese in contanti, con il resto (circa €300 al mese) in buoni spesa per beni che si confanno ad una vita agiata degna di una potenza economica (buoni spesa quindi non alimentari, né per pagare bollette o debiti), da spendere esclusivamente in grandi magazzini e rivenditori nell’orbita della Associates, altrimenti gli italiani non potranno avere soldi a sufficienza da spendere nei nostri prodotti e servizi per soddisfare i loro giusti desideri. Il potere d’acquisto finale dei salari deve essere preservato ad ogni costo: gli stipendi dei lavoratori privati devono assicurare alle famiglie un livello di vita consono, ma soprattutto che si abbia la possibilità di soddisfare necessità primarie quali comprare nuovi cellulari anche più volte l’anno, potervi scaricare suonerie e servizi vari di alta qualità, fare l’abbonamento a Sky e vedersi le partite sul digitale terrestre, poter comprare gli ultimi modelli FIAT, comprare computers sempre più potenti con Windows Vista obbligatoriamente preinstallato, ecc.

Per mantenere questo elevato livello di vita è però necessario accordare vantaggi e privilegi alle aziende, per scongiurare l’emigrazione delle stesse verso Paesi più competitivi: riportare la settimana lavorativa obbligatoria ad almeno 48 ore (come anche recentemente emerso da indicazioni europee), eliminare quei deleteri vincoli di assunzione alle aziende private che costringono le stesse a fare ricorso al lavoro nero, ecc., insomma, bisogna far emergere il lavoro nero e dargli tutta la dignità di lavoro normale, eliminando ogni vincolo contrattuale… e se i contratti proprio ci devono essere, che sui neo assunti non vi sia alcuna tassazione per le aziende per almeno un anno, ed i contratti che durino massimo 12 mesi!

Bastone e carota, quindi: il ruolo dello Stato deve NECESSARIAMENTE supportare la filantropia delle aziende private, attraverso sussidi e bonus per l’acquisto dei decoder per il digitale, incentivi alla rottamazione, sempre però nell’ottica di mettere anche degli ostacoli, eliminando quanto prima i canali in chiaro, non facendo circolare auto comprate solo 3 anni prima, ecc.

Le risorse si possono trovare abolendo ogni assistenzialismo dello Stato (scuola, sanità, pensioni e tutti simili sprechi) e investendo invece in nuove opere pubbliche, che portino ad una forte scossa all’economia tutta: con strategie di project financing costruiamo almeno tre ponti sullo Stretto di Messina (magari uno subacqueo), mettiamo altri due raccordi anulari attorno Roma, facciamo altre piste a Malpensa e costruiamo altri aeroporti internazionali (a Siracusa, in Valle d’Aosta), altri porti (almeno un paio di rilevanza nazionale per regione)… e non dimentichiamo di costruire molti termovalorizzatori, continuare a chiudere ospedali di Stato per aprire ospedali privati convenzionati, diamo soldi alle università private. Insomma, Veltroni a Roma ci ha dimostrato che yes we can, si può fare!, ed ha fatto rinnovare la linea ferroviaria Roma-Pantano (lavori conclusi nel 2006) ben sapendo che solo pochi mesi dopo questa sarebbe stata in parte distrutta per costruirvi la tratta scoperta della Lina C. Perché non esportare S-I-S-T-E-M-A-T-I-C-A-M-E-N-T-E questa buona pratica a tutto il Paese?

In ambito legislativo, bisogna prendere spunto dalle battaglie democratiche che hanno portato alla cancellazione del falso in bilancio, che bloccheranno le intercettazioni telefoniche – usanza tipica dei Paesi comunisti, che vogliono impedire la libera imprenditoria – per arrivare all’abbattimento delle tasse per le aziende e per superare certe forme medievali quali il mobbing, strumenti che sono da sempre forme per ricattare le aziende e prendersi gioco dei lavoratori onesti. Ciò sempre nel rispetto degli accordi coi sindacati – da sempre al nostro fianco – ed ai cittadini più meritevoli, che in cambio del voto ad alcuni politici ottengono gli opportuni posti di lavoro nella pubblica amministrazione. L’esperienza delle 81 società gestite dal Comune di Roma sta lì a dimostrare quanto proficue per l’intera comunità possano essere queste strategie integrate, visto che la “holding” del Comune dà lo stipendio a ben 34.000 persone che praticamente non lavorano, ma sono stati tutti assunti grazie a regolare raccomandazione politica e necessario voto di scambio. Insomma, non siamo una società perfetta, ma siamo sicuramente sulla buona strada! Però c’è ancora da camminare!

Per concludere, l’Italia può continuare nel suo ruolo di fornitore di eccellenza, come luogo del produrre e come bacino di talenti. Gli esempi non mancano e l’esperienza di molti imprenditori stranieri (basta citare quelli rom, rumeni ed albanesi, attivi in settori specializzati e all’avanguardia) che operano qui aiuta a capire quali siano i fattori positivi di attrazione. Se vogliamo conquistare una fetta maggiore del crescente flusso di investimenti mondiali è necessario agire rapidamente. Ancora una volta, stando fermi rischiamo di scomparire.

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*Bernardo Provenzano è President & CEO M.a.F.I.A. (Market and Financial Investments Associates), South Europe

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La competizione globale e le potenzialità dell’Italia (3): la sfida per il futuro

Posted by romacogitans su 2 luglio 2008

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La sfida per il futuro

Molto lavoro sta facendo anche la FIAT, con il figlio di Gianni Agnelli, Luca (che chissà perché ha spagnolizzato il suo cognome…), e molto ne ha fatto il compianto Marcinkus, un vero sant’uomo…

Per quel che ci riguarda direttamente come Associates la nostra cooperazione con La Banca d’Italia dell’amico Draghi è costante, e continuo lo scambio di informazioni come l’intreccio delle strategie, mirate anche ad un innalzamento della percentuale del Signoraggio e una più opportuna suddivisione tra le banche (che direttamente o indirettamente fanno tutte capo alla Associates) che detengono il pacchetto di maggioranza della Banca d’Italia.

Nell’ambito di Confindustria è stato recentemente formato il Comitato degli investitori esteri che cerca di piazzare tra le principali imprese multinazionali che operano nel Paese rappresentanti politici al nostro soldo che dettino quelle condizioni strategiche che travalichino quell’oramai obsoleto obolo del 10% dei proventi, e permettano sinergiche strategie a tutto tondo, con opportuna divisione paritaria (50% a testa) dei profitti.

Le nostre risorse economiche ed intellettuali sono in campo da tempo: la fine dell’edilizia popolare, figlia di una cultura parassitaria e assistenzialista, e lo sviluppo di quella privata – della relativa bolla speculativa, fiore all’occhiello della nostra economia – non sono un caso ma nascono dalla lungimiranza degli accordi scaturiti da sinergie di governance tra settore privato e pubblica amministrazione, anche con il nobile obiettivo di combattere una certa attitudine da fannullone tutta italiana, nel demandare allo Stato il proprio diritto/dovere di acquistare una casa.

Ma gli interessi economici della Associates coinvolgono non solo i mercati tradizionalmente redditizi, MAANCHE quelli più moderni. Le competenze tecniche locali e la dimensione del mercato continuano ad essere un fattore trainante per gli investimenti delle nostre consociate in servizi avanzati come sfruttamento della prostituzione, finanza e speculazione, frodi informatiche, telecomunicazioni eccetera.

Molto ha fatto per noi la classe politica. La governance tra poteri dello Stato e la libera imprenditoria, proseguendo quella virtuosa sinergia che ha portato alla crescita del sud, al consolidamento di realtà come la FIAT e l’alta finanza va incrementata: una politica che – pur preservando una elevata fetta di tassazione mirata all’espletamento delle funzioni politico-economiche – lasci un reddito sufficiente alle persone, a patto che le normative invoglino ancor più i risparmiatori ad investire in borsa, in fondi, in bond, insomma, a dare fiducia a quel sistema bancario e finanziario che è la colonna portante dell’industria italiana.

Il Comitato, di cui sono co-presidente ha tra i suoi membri, unisce l’esperienza di alcuni tra i principali campioni dell’economia mondiale, molti dei quali presenti in Italia, per riflettere sulle best practice internazionali. I lavori del Comitato forniranno spunti utili per un confronto costruttivo tra imprese, classe politica e le altre parti sociali. In questi giorni stiamo affrontando il problema Gabanelli, fomentatrice di folle che ambisce a ripercorre le orme di Peppino Impastato. Nello specifico ci stiamo avvalendo dell’abile opera di advising e counselling dei nostri colleghi russi, forti dell’esperienza coi casi Litvinienko e Politovskaja, e formulare proposte concrete per rafforzare l’attrattività della nostra economia.

La sfida per l’Italia ed anche per la Associates è di attrarre nuove società straniere, per un mutuo sviluppo: da una parte lo Stato deve attrarre quelle aziende che – come visto in Campania – riescono a massimizzare le risorse territoriali [metti link discariche camorra]; dall’altra, attraverso il sistema delle tasse deve permettere una perequata redistribuzione delle ricchezze, attuando politiche che permettano una rapida circolazione del denaro, prelevando da soggetti economicamente non dinamici (i pensionati, risparmi che giacciono in conti bancari non investiti nei convenienti bond, ecc.) per offrire incentivi alle aziende che agevolano lo sviluppo del territorio. Come? Ma sovvenzionando la costruzione di termovalorizzatori, centri smaltimento rifiuti all’avanguardia come Malagrotta o Chiaiano, centrali nucleari, ecc.. E’ opportuno ricordare che casi d’eccellenza sono già presenti sul nostro territorio: le politiche ambientali attuate con successo in Campania, gli incentivi al digitale terrestre, o le virtuose sinergie pubblico-privato nella sanità sono tra i migliori esempi di un’Italia attiva che vuole crescere, malgrado tutto.

Basterebbe estendere queste buone pratiche a tutto il Paese ma soprattutto dare la possibilità a questi dinamici imprenditori di decuplicare le loro potenzialità affinché allarghino il loro bacino di influenza, con agevolazioni economiche che permettano di mettere a frutto le innovative capacità già ampiamente dimostrate.

La soluzione? Altre tasse per chi non produce ricchezza e abbatterle per chi invece è motore dell’economia. I soldi così incamerati non devono andare persi in mille rivoli, ma offerti a quella parte forte e dinamica del Paese – che con Confindustria rappresentiamo – attraverso appalti e concessioni, mentre noi attueremo quegli già oliati meccanismi di protezione delle attività preesistenti ed esporteremo a tutta la Penisola gli innovativi strumenti assicurativi del P.i.z.z.o. (Private Insurance for a Zone at Zero Outrage), mezzi che tanto successo hanno avuto sul territorio da far nascere manifestazioni popolari che incitano i governanti ad interventi che fomentino queste iniziative (come dimenticare la “a dio pizzo”?).

E’ parimenti opportuno che si conosca in Europa e nel resto del mondo quali sono le potenzialità del nostro Paese, una fama che ha fatto arrivare migliaia di lavoratori da poter utilizzare nel lavoro flessibile (alla faccia di quei bacchettoni che ancora lo etichettano come nero), consentendo agli italiani di specializzarsi nell’espletamento di pratiche più congeniali, quali appunto minacce, esattoria del pizzo, attentati, ecc. Le politiche devono consolidare l’effetto promozionale delle televisioni pubbliche e private – che con spettacoli dipingono un’Italia ricca e nobile – attraendo professionisti da tutta l’Europa dell’Est nei settori nevralgici per la nostra economia tutta, quali la prostituzione, la ricettazione, furti di ogni tipo, ma soprattutto nei fiorenti settori della truffa, frode, aggiotaggio, e tutti i tipi di investimenti finanziari, tutte attività che da anni sono alla base della crescita della nostra economia. In buona sostanza cfè bisogno di uno sforzo congiunto per tener testa ai nostri competitors internazionali più agguerriti quali la Organizatsya e la Triade.

Tali considerazioni non derivano da uno scatto d’orgoglio nazionalistico ma da anni di esperienza professionale mia e dei miei colleghi delle grandi multinazionali in Italia. Questa stessa esperienza, però, permette anche di capire quali siano i limiti e gli ostacoli all’attività di impresa nel nostro Paese e certamente il quadro non è solo positivo. I fattori che rallentano la crescita e gli investimenti delle nostre aziende (in patria e all’estero) sono stati oggetto di infinite analisi, le cui conclusioni sono universalmente condivise. Ma la considerazione più importante è che purtroppo di immobilismo si muore. I modelli per ispirare un’azione di riforma non mancano e, osservando le trasformazioni in atto nel mondo, l’imperativo è adeguarsi velocemente. Rischiamo di rimanere indietro rispetto alle holdings sudamericane, ed ai nostri competitors russi, giapponesi e cinesi.

[continua…]

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La competizione globale e le potenzialità dell’Italia (2): bravo Silvio, ma…

Posted by romacogitans su 30 giugno 2008

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Bravo Silvio, ma…

Un plauso va senza dubbio all’amico e collega Silvio Berlusconi ed al suo ultimo governo, i cui primi interventi non possono che essere condivisi e promossi a pieni voti: il decreto salva Rete 4 è un inno alla giustizia, per la cultura tutta, per quell’opera di corretta informazione e di servizio pubblico (ed a costo zero per l’erario!) che da sempre noi sosteniamo; pensare alla costruzione di centrali nucleari è passo necessario, che finalmente mette nel cassetto 20 anni di disinformazione e demagogia della sinistra che da sempre punta su risibili piani quali l’energia Eolica e Solare, che porterebbero al collasso il nostro Paese; il chiaro messaggio che puoi diventare ministro se sei una bella ragazza e fai la “brava” – rispettando le regole che madre natura ci ha dato e soprattutto dei nostri sani valori cattolici, dove la donna deve sempre essere ausilio dell’uomo e al suo volere soggetta – è un ulteriore passo per ridare il giusto ruolo alla donna di madre, moglie e – perché anche per questo ci sono le donne – puttana; la “de-regolazione” dei rapporti di lavoro, con la reintroduzione del lavoro a chiamata e le dimissioni in bianco risultavano assolutamente necessaria per permettere ad un mercato ingessato di riprendere a respirare; sospendere i processi per condanne per meno di 10 anni e giovarsi della prescrizione permetterà a noi della Associates di recuperare molti lavoratori, e non solo la manovalanza spicciola (gli esattori, i rivenditori al dettaglio, ecc.), ma tutti quegli abili tecnici ed esperti che ci supportano nelle operazioni economico/finanziarie a livello nazionale ed internazionale; l’abolizione dei parchi nazionali permette di investire in zone di pregio ambientale senza essere costretti a dar fuoco all’area, facendo sì che l’opera della Associates nel venire incontro all’annoso problema casa e nel dotare il territorio di attrezzature ricettive di livello internazionale sia anche coadiuvata dalla bellezza delle aree circostante. Un colpo di classe – infine – è stata la mossa dell’utilizzo dell’esercito in città: di per sé i 2500 uomini che verranno impiegati a livello nazionale sono assolutamente insignificanti, per non dire inutili, ma a livello demagogico e mediatico è bastato parlare di “uso dell’esercito” per alzare un vespaio incredibile, e ben coadiuvati dall’amico Veltroni, abbiamo catturato l’attenzione pubblica che rischiava di interessarsi di cose che non le competono. Manca solo lo “ius primae noctis“, e poi Silvio avrà appagato i propri desiderata e ritenersi soddisfatto per aver ristabilito la giusta distanza tra sé ed i suoi elettori.

Per noi industriali il Berlusconi Quater sinora si merita un bel 7,5 di voto, ma per la piena promozione dovrebbe prendere coscienza – con un chiaro intervento legislativo – di uno dei più grandi fraintendimenti che accompagna e denigra tutto il sud Italia. A quando, amico Berlusconi, una inconfutabile e necessaria dichiarazione che la mafia non esiste? E’ ridicolo che un Paese come il nostro, che malgrado tutto è tra i più importanti dell’Unione Europea, sia ancora attraversato da tali pregiudizi, che abbia ancora leggi razziste (perché colpiscono persone del sud Italia) che ostacola alcuni tra suoi più validi imprenditori di contribuire alla crescita del nostro Paese! Il nostro amico Silvio sa bene che non c’è molta differenza tra noi della Associates ed altri membri della Confindustria nello sfruttare e ridurre sul lastrico migliaia di famiglie come fanno Tronchetti Provera, la famiglia Agnelli, i Tanzi, lo stesso Berlusconi o fecero Gardini e Poggiolini. Tutti noi, ed in modi anche simili, imponiamo la nostra forza, stupriamo menti, facciamo proselitismo tra criminali, distruggiamo vite, cancelliamo speranze per arricchirci. Ergo, noi della Associates chiediamo a gran voce che non solo vengano finalmente rimosse quelle ignominiose leggi che ci penalizzano, ma anche di poter accedere direttamente a tutta quella serie di incentivi (italiani ed europei) atti allo sviluppo della nostra economia. Non è infatti più accettabile – visto il positivo momento politico, come ha già detto il Santo Padre – che noi si sia costretti a giovarsene attraverso accordi lunghi e complicati, che ci fanno perdere tempo. Su Silvio, il fratello Dell’Utri (col quale ci accomuna anche l’origine siciliana e l’essere fervente cattolico) si è già esposto: aspettiamo che anche tu rompa gli indugi e quanto prima faccia quanto dovuto.

Infine è opportuno dire che in chiave di costruzione del consenso molto hanno fatto le TV italiane del nostro collega Berlusconi unitamente all’organo ufficiale del Santo Padre soprattutto attraverso il proprio telegiornale per offrire alla popolazione programmi opportunamente studiati ed informazioni sapientemente interpretate per la pace sociale, contribuendo al rafforzamento di quella cultura che lascia a chi di dovere il decidere delle sorti dell’Italia e dei suoi figli. Il divaricarsi della forchetta tra pochi ricchi e la massa povera è tipico di tutti i Paesi più sviluppati (Stati Uniti su tutti), ma è proprio nella creazione di un valido gruppo sociale di indirizzo che la popolazione tutta può attingere sicurezza, mentre vive serenamente godendo dei programmi quali il Grande Fratello e La Vita in Diretta.

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